“STORIA DI UN CORPO”

I racconti fotografici del lunedì scritti da Antonio Sabia

RACCONTO 11 – CONSAPEVOLEZZA

Più atroce della paura fu la consapevolezza.

Da settimane ero rinchiusa in un monastero, sperando di mantenere a distanza l’orrore che sentivo aleggiare intorno a me. Ma per quanto ci si possa sforzare è impossibile tenere il presente fuori dalla porta. Ovunque tu vada, ti troverà e ti perseguiterà.

Il monaco era entrato nella cella con il quotidiano tra le mani, avanzava verso di me in silenzio come se la paura gli appesantisse i passi; glielo si leggeva negli occhi. La notizia era vecchia di qualche giorno, forse i monaci avevano pensato di nascondermi la verità, ma il senso di colpa li aveva spaventati.

Lungo l’argine delle Cascine avevano trovato due corpi in avanzato stato di decomposizione, probabilmente abbandonati da moltissimi giorni. La polizia non aveva avuto difficoltà a riconoscere i due cadaveri: un uomo e una donna, con numerose ferite al petto e alla gola.

Non lessi oltre. Gettai il giornale contro il muro e mi rannicchiai con le ginocchia al petto.

<<André ha confessato>>, disse il monaco porgendomi la mano. Mi aiutò ad alzarmi, sapeva che avevo bisogno di uscire per respirare aria fresca; restare lì dentro non mi avrebbe fatto alcun bene.

Mi raccontò i dettagli della confessione fatta alla Polizia. Il mio ragazzo aveva acconsentito a partecipare ad un set fotografico con me e con l’altra modella, ma l’incontro con Marco prese una brutta piega. Iniziarono a rinfacciarsi strane perversioni, dalle parole passarono subito alle mani e la furia di André si riversò tutta sul fotografo. La modella aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, aveva assistito al brutale pestaggio e i suoi occhi e la sua bocca potevano essere molto pericolosi. André decise di sbarazzarsi anche di lei.

Accecato dal calore del crimine appena commesso, pensò di confessarmi tutto, ma poi decise di organizzare una messa in scena per portarmi direttamente sul luogo del delitto. Aveva lasciato che osservassi tutto, che prendessi il cellulare di Marco sul quale avrei potuto leggere i messaggi che lui stesso aveva inviato a numeri sconosciuti dopo aver ucciso il mio amico. Voleva che dubitassi di tutto, che mi sentissi in colpa per aver posato per un uomo abituato a fotografare e ricattare; ma non aveva considerato la mia fuga, la possibilità che avessi potuto scoprire la verità e lasciarlo così al suo destino.

Vinto dalla solitudine era crollato e aveva confessato. Quando commetti un delitto devi prenderti tutte le tue responsabilità, non puoi fare un passo indietro. Non si commette mai un crimine a metà. Purtroppo, però, questo non riguarda solo l’assassino e la vittima; ogni delitto ha le sue ricadute su tutti quelli che circondano l’uno e l’altra. Effetti collaterali, si direbbe, e io ero uno di quelli.

Passeranno mesi, forse anni, affinché le cicatrici che porto dentro smettano di tormentarmi. Nel frattempo, ho scelto di vivere il presente tra le memorie passate tatuate sul corpo. Ho ricominciato a fotografare di tutto: il verde intorno al monastero, il lago in lontananza, il cielo carico di nuvole e di speranze; ma soprattutto ho ripreso a fotografare me stessa.

Non voglio più essere filtrata da pensieri che non siano i miei, scrutata da un obiettivo diverso dalla mia macchina fotografica. Cerco di impossessarmi della natura e di restituirmi ad essa con tutta me stessa, con le mie luci e le mie ombre.

Lara.

Fotografia di Laura Manfredini

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