“STORIA DI UN CORPO”

I racconti fotografici del lunedì scritti da Antonio Sabia

Racconto 6 – PELLE

L’acqua scorreva già da qualche minuto, la vasca era quasi piena. Svuotai il flacone del bagnoschiuma, pronta ad immergermi in una delicata spuma al profumo di lavanda.

Avevo bisogno di riposarmi, di riflettere.

La visita di Paolo avrebbe dovuto rallegrarmi, ma riuscì solo a destabilizzarmi. Non lo vedevo da tantissimo tempo e in cuor mio avevo sempre sperato che prima o poi si rifacesse vivo. Era apparso proprio nel giorno in cui avevo perso l’uomo che più di tutti aveva scosso la mia quotidianità. Tutto ciò mi sembrava strano. Non credevo al caso, men che meno alla tunica che indossava. C’era qualcosa che mi sfuggiva, ma non ero abbastanza lucida da riuscire a capire.

Entrai nella vasca, le gambe si nascosero sotto il manto di schiuma. Il torpore si estese su tutta la pelle, dai piedi fino al collo. Chiusi gli occhi e mi abbandonai ad un abbraccio con me stessa.

Le mani scivolavano sul corpo cullate dall’acqua. Immaginavo che a toccarmi fosse Andrè, con la delicatezza di un uomo esperto. Gli piaceva il mio corpo, anche se non era scolpito come quello di una ballerina o slanciato come quello di una modella. E a dir la verità non sarebbe piaciuto neanche a me. Non volevo un feticcio da curare, da tonificare e da abbellire anche al costo di sacrificare la mia stabilità mentale.

Era un mondo che non mi apparteneva. Sapevo di avere tanti difetti, che provavo a nascondere sotto una gonna un po’ più lunga o sotto uno strato di trucco un po’ più marcato. Per quanto mi fossi impegnata ad iniziare diete ed allenamenti rigorosi, la pigrizia aveva sempre avuto la meglio. E mi andava bene così. Cosa avrei guadagnato? Un corpo tonico e bello, pronto per essere mostrato? In cambio di cosa? Certo, le modelle guadagnavano tantissimi soldi, ma sarei stata sicura di piacermi? Col tempo avevo imparato ad apprezzare le mie rotondità, persino le smagliature non mi sembravano poi così vergognose. Le passerelle non sarebbero mai state il mio mestiere.

I pensieri fluivano, le mani avvolgevano il seno e giocavano con la schiuma, le gambe si sfioravano delicatamente. Pensavo ancora ad André, al suo corpo nudo immerso nell’acqua insieme al mio, ventre contro schiena; un unico abbraccio scandito dal medesimo battito dei nostri cuori. Odiava quando accendevo candele profumate sul bordo della vasca o quando lasciavo acceso il giradischi con un’aria di Schubert. Amava l’essenziale, nelle parole come nei gesti quotidiani.

Non avrei retto a lungo la sua mancanza, avevo bisogno della sua presenza silenziosa. Era bravissimo nello scegliere con cura la parole da non dire, riteneva che i concetti più limpidi non avessero bisogno di fronzoli. All’inizio non pensavo che potesse durare a lungo, i suoi silenzi sarebbero stati vinti dalla mia necessità di parlare di tutto, con tutti. Ma avevo sottovalutato la sua intelligenza.

Ricca di sfumature e colori, la sua mente era assimilabile alla coda di un pavone, che si svelava soltanto quando doveva conquistare l’altro sesso; la sua intelligenza era più sensuale di qualsiasi corpo muscoloso. Se pensavo a tutte le opere d’arte dei vari Mozart, Botticelli e Michelangelo, mi chiedevo se non fossero stati altro che memorabili rituali di conquista tra la mente e l’anima, cui gli occhi facevano da mediatori.

Al pensiero dei nostri corpi avvolti dalla schiuma, il cuore fu scosso da un sussulto. Aprii il rubinetto e avvicinai le gambe il più possibile al gettito. Lasciai scorrere l’acqua sul mio piacere fino all’ultimo.

Mi asciugai e raggiunsi a piedi scalzi la camera da letto. Ormai ero decisa: un paio di foto non mi avrebbero mai allontanata da Andrè, non un giorno in più. Raccolsi gli scatti e i disegni che mi ritraevano nuda, e uscii di casa con un orgoglio mai provato prima.

Impossibile che fosse già partito per Nizza. C’era un solo posto dove ero sicura di trovarlo, ed avevo intenzione di raggiungerlo immediatamente.

Fotografia di Laura Manfredini

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